Settantesimo della Liberazione

Il Ministro della Difesa ha appuntato la medaglia del settantasimo sul labaro della Fiap

Saluto del Presidente nazionale della Fiap Mario Artali alla Cerimonia del 22aprile 2015

Vorrei innanzitutto ringraziare la senatrice Roberta Pinotti, Ministro della Difesa, per la iniziativa presa e per l’impostazione data.

Il ringraziamento coinvolge –ovviamente- i Suoi collaboratori per il forte impegno nella elaborazione della proposta, nella realizzazione odierna ed in quello che ne può derivare.

Non è facile per me parlare dinanzi ad un pubblico così autorevole, con così tanti valorosi combattenti per la libertà.

Come si può desumere dai mie dati anagrafici mi trovo, senza alcun merito particolare –se non quello dell’impegno per la salvaguardia della memoria- a rappresentare la Fiap di Ferruccio Parri, Piero Calamandrei, Bianca Ceva, Aldo Aniasi –e molti altri potrei citarne- fino all’ultimo presidente partigiano, Francesco Berti, cui ho avuto l’onore di succedere - su sua indicazione - nell’incarico operativo in occasione dell’ultimo Congresso.

La FIAP nasce nel 1949 con l'intento di tenere viva la memoria della Resistenza e in particolare di Giustizia e Libertà, delle brigate Matteotti, del Partito d'Azione, dei socialisti, dei liberalsocialisti, degli anarchici e di tutti gli indipendenti che nel secondo dopoguerra non si riconoscevano nella logica degli schieramenti contrapposti.

In quel clima altri fecero scelte diverse. Non avrebbe molto senso discuterne in questa sede. Ognuno fa i conti con la propria storia e la Storia – con la S maiuscola- qualche giudizio lo va pronunciando.

Sta ai vivi la riflessione e la rielaborazione, né possiamo addebitare a coloro che non ci sono più i nostri ritardi.

Questa giornata, con l’impostazione data, ha il merito di unire aspetti che non sempre siamo stati capaci di rappresentare adeguatamente: l’affetto per i partigiani vivi, il ricordo di tutti i caduti e gli scomparsi in settanta anni di storia, insieme alla pluralità delle organizzazioni e dei contributi ideali nella lunga lotta per la libertà prima e nelle articolazioni del dopoguerra poi.

Credo, Signor Ministro, che sia doveroso renderle atto dell’efficace risultato oggi conseguito.

Penso sia lecito augurarsi che questo sia l’inizio di una nuova fase.

Rileggevo in questi giorni il testo di un discorso pronunciato a Milano, al Teatro Lirico, da Piero Calamandrei –presente anche Ferruccio Parri- il 28 febbraio 1954.

“Cominciò così, – cito Calamandrei -quando il fascismo si fu impadronito dello Stato, la Resistenza che durò venti anni. ………….. Non si combatteva più sulle piazze, dove gli squadristi avevano ormai bruciato ogni simbolo di libertà, ma si resisteva in segreto, nelle tipografie clandestine dalle quali fino dal 1925 cominciarono ad uscire i primi foglietti alla macchia, nelle guardine della polizia, nell’aula del Tribunale speciale, nelle prigioni, tra i confinati, tra i reclusi, tra i fuorusciti. E ogni tanto in quella lotta sorda c’era un caduto, il cui nome risuonava in quella silenziosa oppressione come una voce fraterna, che nel dire addio rincuorava i superstiti a continuare: Matteotti, Amendola, don Minzoni, Gobetti, Rosselli, Gramsci, Trentin. Venti anni di resistenza sorda. Ma era resistenza anche quella: e forse la più difficile, la più dura e la più sconsolata.”

Non si potrebbe esprimere meglio quello che le Associazioni della Resistenza cercano di trasmettere, nella pluralità dei riferimenti e nella unitarietà della memoria. Forti ispirazioni ideali, figlie di venti anni di cospirazione e di esilio, espresse in organizzazioni che seppero condurre una efficace lotta armata.

Non a caso Ferruccio Parri sottolineava il carattere “politico ma non partitico” della Fiap, una opzione a cui siamo tenacemente legati.

Ma oggi – e molto opportunamente- non ci sono qui solo le associazioni “politiche” ci sono anche quelle che rappresentano aspetti non sempre adeguatamente valutati della lotta per la libertà: i militari internati, quelli che risalirono la penisola combattendo insieme agli alleati o all’estero, la Marina e l’Aviazione.

Ciò che questo significa lo dice molto bene, in un recentissimo intervento, Giorgio Napolitano:

“il recupero e la valorizzazione di dimensioni a lungo gravemente trascurate del processo di mobilitazione delle energie del paese che si dispiegò per difendere l’onore e riconquistare la libertà e l’indipendenza dell’Italia: la dimensione cioè del contributo dei militari, sia delle forze armate coinvolte nella guerra fascista e poi schieratesi eroicamente (basti fare il nome di Cefalonia) contro l’ex alleato nazista, sia delle nuove forze armate ricostituitesi nell’Italia liberata (che ebbero a Mignano Montelungo il loro battesimo di fuoco). L’immagine della Resistenza si è così ricomposta nella pluralità delle sue componenti: quella partigiana, quella militare, quella popolare.”

Occorre davvero superare i troppi limiti nella rappresentazione della Resistenza e combattere qualche strumentalizzazione che a volte echeggia, anche in tempi così lontani da quelli del dopoguerra e dello scontro frontale.

E’ “l’altro discorso”, come lo definisce nello stesso lucido intervento il Presidente Napolitano.

Molte volte ci siamo commossi riascoltando la voce di Piero Calamandrei scandire, riferendosi alla Costituzione: “.. questo è un testamento, un testamento di centomila morti. ……….”

Calamandrei parla dei valori e dei principi, non certo della organizzazione della democrazia e dello Stato.

E come potrebbe essere diversamente per chi era rimasto inascoltato alla Costituente quando si era così espresso: "Non è indispensabile che si adotti integralmente in Italia lo schema della repubblica presidenziale quale è in vigore in America; basterebbe che ad essa ci si avvicinasse in un punto, che è quello dell'innalzamento e rafforzamento dell'autorità del capo del governo, attraverso l'approvazione solenne - popolare o delle assemblee legislative almeno - del piano in cui sia fissata la politica che intende seguire". E: "Il problema fondamentale della democrazia, cioè il problema della stabilità del governo; nel progetto di costituzione di questo non c'è quasi nulla"

Commentava anni dopo un altro illustre giurista e valoroso partigiano, Giuliano Vassalli –organizzatore tra l’altro nel gennaio del 1944 dell’evasione di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat dal carcere di Regina Coeli –parlando in un convegno della Fiap a Salice Terme il 13 aprile 1997 : “Parole di grande realismo e che sembrano quasi profetiche quando si pensa a ciò che è accaduto in Italia per cinquant'anni, con cinquantatré governi, e a quello che è uno dei tormenti delle riforme oggi in gestazione.”

Cosa potremmo dire oggi? Forse ripeterci il quesito che allora –seduta del 5 settembre 1946 della seconda commissione della Costituente, presidente Terracini -poneva Calamandrei:

“Qual è la forma dello Stato che meglio serve a far funzionare un governo di coalizione, impedendo quelle crisi a ripetizione che sono la rovina della democrazia, quella rovina che, se non fosse evitata, ricondurrebbe inevitabilmente, a più o meno lontana scadenza, ad una dittatura ? Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici.”

L’unità richiede un impegno reale e leale nella difesa e nella divulgazione di una memoria condivisa, nel pieno rispetto della pluralità di opzioni di cui fu ricca la Resistenza, e nella rinuncia ad ogni tentazione egemonica.

Viva il 25 aprile!

Roma 22 aprile 2015