Sul "Rapporto Beveridge"
Sul “rapporto Beveridge”, settant’anni dopo
Un modo intelligente per celebrare un altro dei molteplici importanti anniversari – i settant’anni del Rapporto Beveridge – potrebbe essere replicare quello che fa “ The Guardian” del 11 luglio 2014: rivisitare i cinque grandi mali della società del secondo dopoguerra ed esplorarne la evoluzione nella società contemporanea.
Non è casuale che il quotidiano di riferimento degli elettori del Partito Laburista abbia lanciato una grande inchiesta sullo stato della società britannica proprio quando ferve in tutta Europa il dibattito tra i difensori dello Stato sociale ed i propugnatori di una politica di contrazione della spesa pubblica sociale.
L’Europa e con essa l’intero sistema capitalistico mondiale conosce oggi i rigori della grande crisi che non accenna a finire e dibatte di politiche keynesiane di spesa pubblica.
Il Rapporto Beveridge - che passò alla storia come Piano Beveridge - fu sottoposto da Lord Beveridge al governo allora in carica, governo di coalizione tra conservatori e laburisti presieduto da Winston Churchill in cui il Labour Party era entrato con il Ministro del Lavoro Ernest Bevin ed il Ministro della Ricostruzione Arthur Greenwood; quest’ultimo aveva incaricato Beveridge di guidare una Commissione Interministeriale con il compito di effettuare una “ indagine sui vigenti sistemi di assicurazione sociali e servizi sociali affini”
La teoria sviluppata da Beveridge nel documento si allineava con le moderne teorie basate sulle nuove frontiere produttive aperte dalle società industriali basandosi su tre principi generali: il primo che il periodo aperto dalla guerra, periodo che per forza di cose è rivoluzionario, sia il terreno ideale per la creazione di una proposta che superi gli interessi di categoria e vada verso il bene comune; il secondo che l’assicurazione sociale sia trattata come parte di una comprensiva politica di progresso sociale finalizzata all’abbattimento dei cinque giganti che sono la Miseria , la Malattia, l’Ignoranza , la Disoccupazione e il Degrado abitativo; infine il terzo, che il benessere collettivo sia raggiungibile attraverso una stretta collaborazione tra stato e individuo.
Sulla visione del riformatore Beveridge ebbe un grande impatto la pesante fase di recessione dovuta alla guerra ma altrettanta forza fu esercitata dall’influenza dell’amico Maynard Keynes , che, anche se liberale, a sua volta aveva una visione più positiva riguardo l’intervento statale nella regolazione del mercato interno.
Il Rapporto viene presentato alla stampa il primo dicembre 1942 ed il giorno seguente messo in vendita nelle principali librerie del Regno Unito: ne verranno vendute 645.000 copie.
Il Premier Winston Churchill avanzò molte riserve sulla applicabilità del Piano. Il governo decise di rimandare ogni decisione alla fine del conflitto e nel corso della votazione alla Camera dei Comuni liberali e laburisti dovettero soccombere determinando anche una profonda crisi nelle file laburiste.
Il documento ebbe una larga eco negli Stati Uniti dove Beveridge espose il suo Piano.
Sarà il governo laburista di Clement Attlee, insediato dopo la vittoria del Labour Party nelle elezioni del 1947 a realizzare il programma completo di protezione sociale pubblica facendo nascere il Welfare state.
L’impostazione data al Rapporto sarà trasferita nell’art. 22 della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo delle Nazioni unite approvata dalla Assemblea Generale il 10 dicembre del 948 che recita:” Tutti gli uomini in quanto membri della società hanno diritto alla sicurezza sciale; a tutti gli uomini devono essere garantiti, dallo Stato e con la cooperazione internazionale… i diritti economici, sociali, culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”.
In Italia la notizia della pubblicazione del Rapporto Beveridge arriva attraverso una nota dell’ Agenzia internazionale Stefani due giorni dopo della diffusione e radiotrasmessa sulla frequenza di Radio Londra.
Per molti mesi il Piano sarà oggetto di feroci critiche della stampa fascista.
Il Governo inglese fece stampare e distribuire nell’Italia occupata un compendio ufficiale con una selezione delle parti più significative del rapporto ed un pamphlet divulgati a firma Sir Ronald Davison datato 1944.
Tra i vertici politici della Resistenza la pubblicazione del rapporto non ebbe un eco particolare mentre esponenti di primo piano della cultura si interrogavano sulle idee di Lord Beveridge.
Luigi Einaudi ne studia i testi durante l’esilio in Svizzera, e ne fa oggetto di un ciclo di "Lezioni di politica sociale" che tenne nella primavera del 1944 all’Università di Ginevra e alla Scuola di Ingegneria di Losanna a studenti italiani iscritti nelle facoltà di giurisprudenza, di scienze economiche e di ingegneria.
I testi originali arrivano ad Ernesto Rossi confinato nell’isola di Ventotene che ne fa oggetto di uno studio considerando irrinunciabile una valutazione del Progetto britannico in vista della elaborazione di una politica sociale per la ricostruzione.
Nel dopoguerra il problema della trasformazione dello Stato Sociale viene posto contemporaneamente alla ricostruzione ed al relativo problema dello sviluppo economico ed industriale ed alla costruzione delle istituzioni democratiche.
“…un processo che apparentemente va nella stessa direzione di quello promosso , nel giugno 1941, in Gran Bretagna , con la costituzione della Commissione interministeriale sulla protezione sociale ma che poi finisce per perdersi in una serie di rinvii e di passaggi di testimone che servono soltanto ad insabbiare ogni possibile provvedimento di radicale trasformazione dello stato Sociale italiano che nessuno voleva e che in particolare, per ragioni diverse, non volevano democristiani e comunisti” (Enzo Bartocci – Il modello italiano di protezione sociale da Crispi a De Gasperi- Economia e Lavoro Anno XXXIX n.3)
Tentativi di formare commissioni di studio sul modello britannico furono fatti successivamente dal Governo Badoglio, dal Governo Bonomi e dal Governo Parri.
Ma il tentativo che riuscì ad avvicinarsi al modello della Commissione Beveridge fu quello della Commissione di studio costituita nell’aprile del 1947 presso il Ministero del Lavoro, ministro Amintore Fanfani, presieduta dal socialdemocratico Ludovico d’Aragona.
D’Aragona propose alla commissione una impostazione dei lavori tutta ispirata agli schemi della commissione Beveridge con il fine di orientare la legislazione italiana alla instaurazione di un sistema di protezione sociale con contenuti universalistici. Impostazione che fu rigettata dalla Commissione.
Non era un caso che fosse proprio D’Aragona a spingere verso traguardi così avanzati: era stato membro della Commissione di riforma Rava del 1917-1920 che aveva concluso i suoi lavori con una proposta di riforma con una apertura universalistica. Quei progetti nascevano all’indomani della prima guerra mondiale con tentativo di risarcire la popolazione dei danni subiti a causa della guerra, in contemporanea con la formazione di una classe lavoratrice organizzata e matura e di una borghesia nata con il processo di industrializzazione ma soprattutto con il formarsi del progetto di una coalizione politica tra liberali democratici e socialisti.
L’indagine sui grandi “mali” viene ripresa nel corso della prima legislatura repubblicana.
Dopo un lungo dibattito sulla riforma assistenziale tenuto alla Camera, il 12 ottobre 1951 viene costituita una Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla miseria presieduta da Ezio Vigorelli, Presidente dell'Associazione nazionale enti di assistenza (Anea) con Lodovico Montini Vicepresidente della Commissione.
Ezio Vigorelli sosteneva che non esistessero le premesse per il varo di un Piano Beveridge e si dovevano fissare obiettivi sociali più limitati.
Finalità della Commissione era quella di studiare il fenomeno della miseria per individuare le cause che la producono e proporre al Parlamento provvedimenti concreti per eliminarla. Con quest'indagine ci si proponeva altresì di indagare il sistema assistenziale e quello previdenziale per capire se erano ancora idonei a svolgere le loro funzioni.
Montini svolge un ruolo di freno nei lavori della Commissione.
Mentre il progetto di Montini investiva solo la questione tecnica dell’assistenza, sul modello della ottocentesca indagine sulle Opere pie, il progetto di Vigorelli possedeva invece un respiro sociale assai più profondo. Vigorelli proponeva di studiare non solo il mondo assistenziale, ma anche le condizioni di vita del popolo italiano, alla ricerca delle cause che producevano lo stato di miseria.
Una seconda una parallela inchiesta sulla disoccupazione viene promossa nel 1951 da socialdemocratici che nell’estate di quell’anno non erano entrati nel nuovo gabinetto De Gasperi per segnare la propria distanza dalle scelte giudicate troppo conservatrici della Dc La Commissione fu presieduta da Roberto Tremelloni.
Le inchieste previste in modo esplicito dalla nuova Costituzione repubblicana non portarono ad alcun provvedimento di riforma.
A Montecitorio le limitazioni della Guerra fredda internazionale e interna proiettavano lunghe ombre sui tentativi socialdemocratici di incidere in senso progressista sulla dialettica politica.
Giorgio Cavalca
Nell’allegato da “The Guardian” del 7 luglio, nella traduzione di Marina Cavallini